Felicità a Cancun per un accordo che non sancisce nulla
Si è conclusa ieri mattina – ora italiana – la 16esima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sul clima con la firma, fortemente auspicata, del “pacchetto bilanciato”. La Conferenza delle Parti, contro le previsioni di molti, può finalmente guardare all’appuntamento del prossimo anno a Durban in Sud Africa con un consenso quasi unanime, ma con qualche perplessità. Il provvedimento infatti è stato sostenuto dall’approvazione di 193 paesi, mentre resta fermo invece il “no” della Bolivia che definisce il pacchetto un “attentato”, giudicando i documenti approvati “una vittoria falsa e vuota”.
L’atto, costituito di due documenti – uno sulle azioni a lungo termine (LCA) e l’altro sul Protocollo di Kyoto (KP) – è piuttosto ampio e in alcuni punti non perfettamente definito, quasi a lasciare aperta la possibilità di continuare i negoziati nel corso dei 12 mesi che separano del prossimo incontro.
Sebbene dunque le due settimane di summit si siano concluse con un risultato piuttosto debole, si è tuttavia riusciti a recuperare un consenso generale dopo il fallimento di Copenaghen in cui l’accordo finale fu siglato solamente da alcuni paesi.
Sembra essere, almeno per il momento, salvo il periodo di vigenza del Protocollo di Kyoto, lasciando tuttavia aperti numerose questioni. Il documento infatti, scritto nel 1997 ed entrato in vigore nel 2003, prevedeva la riduzione delle emissioni del 5%, rispetto ai valori del ‘97. A distanza di 10 anni, non solo non è stato ridotto il livello di emissioni, ma è addirittura aumentato del 5% con il solo contributo europeo, e del 20% se si considera il contributo globale.
Viene confermato il limite – decisamente ottimistico – per fermare il riscaldamento a 2 gradi, accontentando le richieste di scienziati ed ambientalisti ma non indicando di fatto alcun reale provvedimento per adempiere alla promessa. I Cinesi intanto, che si proclamano leader mondiali nella produzione di energia pulita, hanno il primato di una nuova centrale a carbone ogni 10 giorni, mentre il contributo delle rinnovabili è dello 0.7% per l’eolico e dello 0.01% del solare.
I Paesi industrializzati confermano l’impegno ad elaborare piani di sviluppo a basso impatto ambientale. Previsto il contributo dei paesi industrializzati di 30 miliardi di dollari entro il 2012 per far fronte agli interventi a breve termine, i così detto fast start, che saranno seguiti da 100 miliardi per le azioni a lungo termine a partire dal 2020. È stato inoltre lanciato un pacchetto (REED) con fondi, tecnologie ed uno specifico coordinamento a sostegno dei paesi maggiormente colpiti dai cambiamenti climatici. Approvata l’istituzione del Green Climate Found, seppur non ancora quantificato, sempre a sostegno dei paesi in via di sviluppo.
Tirando le somme, quindi, siamo ancora piuttosto lontani da un accordo concretamente vincolante e risolutivo. Tuttavia i timori riguardo il fallimento dell’incontro, sono stati disattesi, grazie alla quasi unanimità raggiunta da un accordo che di fatto però non risolve nulla. L’incontro deve comunque far riflettere. Ci si domanda se i provvedimenti saranno davvero sufficienti ad ostacolare il rapido incalzare dei cambiamenti climatici, e visti i precedenti, ci sono parecchi dubbi in merito.
Ci domandiamo se non sia giunto il momento di fare una valutazione più impopolare ma certamente più concreta riguardo l’apporto, in termini di riduzione delle emissioni, paragonando le attuali tecnologie rinnovabili valutandone costi e benefici. Nessuno sembra voler considerare che fino a quando non si addebiteranno al prezzo del carbone i costi sociali ed ambientali generati, non sarà di fatto possibile un cambio di tendenza.
MG Gargani